Theodore ROOSEVELT (1858-1919)
Celebre discorso 'The strenuous life.'
(La vita estrema). Trad. F. Raucea
Il discorso esplicativo della mentalità americana e che, se meglio conosciuto da Bin Laden avrebbe risparmiato all'umanità tanto sangue, sudore e lacrime!!
1. Intendo raccomandare un ideale di vita tutt'altro che facile, anzi davvero estrema, colma d'impegno e di sacrifici, di lavoro e di lotta, allo scopo di conseguire quegli elevati risultati, irraggiungibili dai rinunciatari ed invece a portata di mano di chi non rifuggendo pericoli, difficoltà e stress, si riprometta d'ottenerne un suo più completo e meritato trionfo.
2. Ben poco merito può quindi procacciarsi una nazione (come anche il cittadino qualunque) in una vita indecorosamente facile, in quella inattività che scaturisce o da un'assoluta mancanza di desideri o dall'inettitudine a grandi imprese.
2.1. In realtà non sto proponendo nulla di diverso da ciò che - chi sia degno di chiamarsi Americano - augura a se stesso, all'intiera Società ai suoi figli:
2.2. infatti chi, tra Voi, davvero insisterebbe per avviarli verso una deplorevole mancanza di vitalità, all'ignavia quale obbiettivo esistenziale, e suprema realizzazione dei loro sacrifici?
3. Ma ancorchè vi fosse stato richiesto, sempre e solo, di lavorare Voi e d'abituare i Vostri figli al lavoro – senza mai imporVi un simile insegnamento - avete fatto ben più di quanto richiestovi: Vostra è stata la scelta di far così grande l' America!
3.1. E pur essendo Voi già ricchi, tuttavia avete operato ancora per il meglio, insegnando ai Vs. figli che il benessere non li autorizzava ad oziare; ed anzi, ad esser saggi, che proprio chi non ha bisogno più di lavorare per il proprio sostentamento, é, ancor più degli altri, obbligato ad imprendere attività no-profit,
3.2. di tipo scientifico, letterario, artistico, storico, viaggi d'esplorazione ecc.ra, tutte attività vitali, non solo per questa nazione, ma anche per il proprio onore.
4. Noi non ammiriamo i rinunciatari, ma i vincenti; non l'uomo il cui solo merito è il non aver mai sollecitato aiuti dal vicinato ancorché lui sia pronto nel darlo, ma il generico detentore di quelle qualità virili necessarie per affrontare le aspre difficoltà della vita!
4.1. È senz' altro triste perdere, ma peggio ancora non aver partecipato ! La vita nulla ci offre senza grande fatica ;
4.2. anche sottovalutando il fatto che l'odierna libertà pretenda spesso ben più sforzi di quanti non fossero necessari in precedenza, si può sopravvivere senza necessità economiche solo dopo che o noi - od i nostri genitori – si sia costituito un capitale;
4.3. ma anche se il benessere così conseguito fosse sufficiente, non per questo l'uomo dovrebbe smettere di lavorare, solo variando le sue finalità, ma continuando a proporsi, in veste di scrittore, generale, politico o magari con viaggi d'esplorazione e d'avventura:
4.4. se invece incomincia a valutare il giorno solo come un tempo da trascorrere in dolce far niente, (anche se magari ancora senza vizi), così manifestandosi come un semplice ingombro sulla superficie della terra,
4.5. i suoi simili inevitabilmente incominceranno a mormorare, almeno fino ad una ripresa della sua volontà creativa, perché alla resa dei conti, il dolce far niente non solo non può essere forma di vita soddisfacente, ma, anche e soprattutto, disabitua i suoi fautori da una cosciente partecipazione.
5. In ultima analisi uno stato sano può esistere solo quando gli uomini e le donne che lo costituiscono conducono vite sane, pulite, vigorose e i bambini sono addestrati a superare le difficoltà e non ad evitarle;
5.1. non a cercare la via facile, ma ad aspirare ad un loro trionfo, misurandosi con la fatica ed il rischio.
5.2. Gli uomini devono accettare i disagi da uomini; accettare lo sfidare, sopportare e lavorare per ottenere o conservare tutto ciò che possono; la donna poi deve essere sì una casalinga, ma non solamente: una valida spalla del suo compagno, nonché la saggia ed intrepida madre di molti bambini.
5.3. Come è il cittadino, tale è la nazione ; ed è solo una balla che sia felice una nazione che si rifiuti alla storia, perché lo è molto di più una che la scriva gloriosamente.
5.4. Affrontare difficoltose imprese, guadagnarsi meritati - anche se rischiosi - trionfi, è infinitamente meglio che non permanere in quel remissivismo rinunciatario, intrattenersi in quella caliginosa foschia, rifiutante tanto la vittoria che la sconfitta, e talmente disprezzabile che nessuno se la augura.
6. Se, nel 1861, i cittadini essenziali avessero davvero creduto che la pace fosse l'obbiettivo comune per l’Unione, agendo di conseguenza,
6.1. certamente non solo noi avremmo risparmiato centinaio di migliaia di vite, ma anche parecchi milioni di dollari ;
6.2. invece di prodigarli, avremmo risparmiato molto sangue e ricchezze, nonché evitato lo strazio di tante donne e la distruzione di tante città, e, al paese, quei mesi d’incertezza e vergogna, quando sembrò che i nostri eserciti fossero avviati alla sconfitta.
7. Noi avremmo potuto evitare tutte questa sofferenze semplicemente sottraendoci alla contesa; ma affrontandola, noi dimostrammo di essere impavidi e degni di presentarci a testa alta in mezzo alle grandi nazioni della terra.
7.1. Allora ringraziamo Dio per il sangue di ferro dei nostri padri, di quegli uomini che sostennero la saggezza di Lincoln, accorrendo con spada o il fucile negli eserciti di Grant!
7.2. Consentite, a noi figli di quegli uomini - che si dimostrarono all' altezza di quei giorni fatidici - consentite a noi, figli degli uomini, che condussero la Guerra Civile ad una grande e trionfante conclusione, di lodare il Dio dei nostri padri per aver rigettato gli ignobili consigli di pace;
7.3. affinchè gli schiavi fossero infine liberati, quelle sofferenze e perdite, lutti, dolore e disperazione, furono fronteggiati serenamente, come sopportati furono gli anni di conflitto, ripristinando l'Unione e consentendo, alla possente repubblica americana, di riprender posto tra le nazioni come una regina elmocoronata.
8. Ogni generazione ha i suoi compiti, magari non così impegnativi come quelli affrontati dai nostri genitori, e, sfuggendoli, si coprirebbe di vergogna!
8.1. E poi, anche volendolo, noi non potremmo far la parte della Cina, lieta di marcire rinunciatariamente dentro i propri confini, interessandosi solo dei suoi fiorentissimi commerci.
8.2. Se ci lasciassimo distrarre dalle più nobili aspirazioni esistenziali, perchè comportanti sacrifici e pericoli, se ci preoccupassimo solamente delle nostre necessità quotidiane, vivendo all'ombra dei problemi, ma sempre senza mai affrontarli,
8.3. noi, alla fin fine, non potremmo che trovarci quello che anche la Cina ci ha trovato, cioè l' obbligo - per una nazione, abituatasi all'indifferenza ed all'isolamento dal resto del mondo - di chinar il capo a fronte di tutte quelle altre, che abbiano invece conservato le loro qualità virili e avventurose.
9. Se noi siamo realmente un grande popolo, con piena buona volontà noi dobbiamo allora recitare quella parte di responsabilità assegnataci dal mondo, senza cercar d’evitare l'impatto dei grandi problemi:
9.1. dobbiamo quindi solo decidere se fare i vivi od i moribondi, come nel 1898 non avemmo altra scelta al deciderci d'affrontare il problema della guerra con la Spagna.
9.2. Allora si trattava d'affrontare quella questione da codardi o da prodi e, successivamente, se disfatta o vittoria dovessero ornare le nostre bandiere ;
9.3. e tuttora non possiamo evitare le responsabilità che ci attendono nelle Hawaii, a Cuba, a Portorico, e nelle Filippine, in cui, ancora una volta, tutto ciò che dobbiamo decidere è solo se le nostre proposte di soluzione siano consone al nostro prestigio nazionale,
9.4. oppure - rifiutandoci di dar definitiva prova, a tutti e ovunque, di saper, occorrendo, essere cattivi - lasciar loro creare una pagina oscura e vergognosa della nostra storia.
10. Noi dobbiamo risolvere un certo problema e fornendone la soluzione, c'è, ovviamente, sempre il rischio che essa non sia soddisfacente; ma, rifiutandoci di fornirla, proveremmo proprio che non siamo in grado di risolverlo!
11. Il vederci costruire sia una marina militare che forze terrestri, adeguate alle nostre necessità, ha contrariato i timidi, i pigri, i neo-immigrati indecisi su qual sia il proprio paese, nonché quei superevoluti, che hanno perso l' istinto alla competizione ed all' auto-affermazione,
11.1. nonché gli ignoranti ed ottusi la cui anima é ormai incapace di percepire il possente richiamo - che invece entusiasma tutti gli uomini austeri con l' imperialità in testa e che certamente non si rallegrerebbero di vedere la nazione seppellire i suoi nuovi compiti ;
11.2. ci sono molti contrariati dal vederci presenti ed attivi nel mondo, portando ordine nel caos delle splendide isole tropicali, sottratte, dal valore dei nostri soldati e marinai, all'egemonia spagnola ;
11.3. costoro sono uomini che temono la vita estrema, che temono ogni manifestazione di vita nazionale realmente dimostrante valore; essi forse credono in quella vita da isolati che indebolisce le maschie virtù d'una nazione, non meno che quelle dei suoi cittadini;
11.4. o può anche darsi che essi siano dominati da quello spirito essenzialmente di guadagno e d'avidità, che riconosce nel mercantilismo il principio e la fine della vitalità nazionale,
11.5. senza rendersi conto del suo giusto ruolo di elemento certo indispensabile, ma, in definitiva, solo complementare, uno dei molti che fanno la grandezza d'una nazione.
12. E' pur vero che nessuno paese può a lungo sopravvivere se le sue fondamenta non sono saldamente poggiate su quella prosperità materiale, proveniente dall'economia, dall'attività affaristica ed imprenditoriale, e da duri e generosi sacrifici in campo industriale;
12.1. ma nessuna nazione è mai diventata veramente grande solo a base di prosperità nazionale, anche se ogni onore deve esser tributato ai suoi architetti, ai grandi capitani d' industria che hanno costruito le nostre fabbriche e le nostre ferrovie,
12.2. nonché a quelli, non meno validi, che, continuano a preoccuparsi del nostro benessere sia con l’intelletto che con l’azione ;
12.3. e grande è il debito della nazione verso loro ed i loro figli: ma ancora maggiore lo è verso uomini del calibro di uno statista come Lincoln o di un militare come Grant;
12.4. che, con la loro vita, dimostrarono di ben conoscere non solo le leggi del lavoro, ma anche quelle della competizione, non solo preoccupandosi d' assicurarsi una grande competenza - per loro stessi e per tutti quelli che ne dipendevano - ma anche riconoscendo come nella vita ci fosse ben altro, e cioé super-doveri verso la nazione e la razza.
13. Proprio non possiamo sedere barricati, nei nostri propri confini, comportandoci come indifferenti a ciò che ci accade attorno ; alla fin fine una simile scelta si rivelerebbe perdente:
13.1. per il fatto che le nazioni finiscono per avere interessi sempre più ampi, e sempre maggiori contatti; per il fatto che, se noi vogliamo proseguire la nostra propria battaglia per una supremazia navale e commerciale,
13.2. noi dobbiamo darci da fare per costruire la nostra potenza al di là dei nostri confini, costruendo quel Canale di Panama, che ci assicurerà il predominio navale sugli oceani dell'Est e dell'Ovest.
14. Io Vi ricordo quindi, o miei concittadini, che il nostro paese non ci sta proponendo una vita di mollezze, ma di sforzo estremo.
14.1.Di fronte a noi, il ventesimo secolo appare in lontananza decisivo per il destino di molte nazioni: se noi ce ne resteremo inattivi, se noi cercheremo soltanto grasso ed accidioso benessere e pace incondizionata,
14.2. se noi ci assenteremo da quelle aspre dispute, cui gli uomini devono partecipare, anche a rischio delle loro stesse vite e di quanto hanno di più caro, allora i popoli più baldi e più forti ci sorpasseranno, assicurandosi la dominazione del mondo.
15. Pertanto non ci resta che far buon viso ad una vita di competizione, risolvendoci a far bene e virilmente il nostro dovere, a difendere i nostri diritti con le parole e coi fatti; ad essere sia onesti che abili a servire i supremi ideali, ma non disdegnando i metodi pratici.
16. Purché si sia certi della sua giustificazione, dobbiamo insomma saper partecipare ad ogni contesa, sia morale che fisica, con o senza il consenso della nazione,
16.1. perchè è solamente attraverso la competizione, attraverso lo sforzo aspro e pericoloso, che noi conseguiremo definitivamente la meta di una vera grandezza nazionale. (Grandi applausi)
The strenuous life
I wish to preach, not the doctrine of the ignoble ease, but the doctrine of the strenuous life, the life of toil and effort, of labor and strife; to preach the highest form of success which comes, not to the man who desires mere easy peace, but to the man who does not shrink from danger, from hardship, or from bitter toil, and who out of these wins the splendid ultimate triumph.
A life of slothful ease, a life of that peace which springs merely from lack either of desire or of power to strive after great things, is as little worthy of a nation as of an individual. I ask only that what every self-respecting American demands from himself and from his sons shall be demanded of the American nation as a whole.
Who arnong you would teach your boys that ease, that peace, is to be the first consideration in their eyes to be the ultimate goal after which they strive?
You...... have done your share, and more than your share, in making America great, because you neither preach nor practise such a doctrine.
You work yourselves, and you bring up your sons to work.
If you are rich and worth your salt, you will teach your sons that though they may have leisure, it is not to be spent in idleness ; for wisely used leisure merely means that those who possess it, being free from the necessity of working for their livelihood, are all the more bound to carry on some kind of non-remunerative work in science, in letters, in art, in exploration, in historical research-work of the type we most need in this country, the successful carrying out of which reflects most honor upon the nation.
We do not admire the man of timid peace. We admire the man who embodies victorious effort; the man who never wrongs his neighbor, who is prompt to help a friend, but who has those virile qualities necessary to win in the stern strife of actual life.
It is hard to fail, but it is worse never to have tried to succeed. In this life we get nothing save by effort. Freedom effort in the present merely means that there has been stored up effort in the past.
A man can be freed from the necessity of work only by the fact that he or his fathers before him have worked to good purpose.
If the freedorn thus purchased is used aright, and the man still does actual work, though of a different kind, whether as a writer or a general, whether in the fields of politics or in the field of exploration and adventure, he shows he deserves his good fortune.
But if he treats this period of freedom from the need of actual labor as a period, not of preparation, but of mere enjoyment, even though perhaps not of vicious enjoyrnent, he shows that he is simply cumberer of the earth's surface, and he surely unfits himself to hold his own with his fellows if the need to do so should again arise.
A mere life of ease is not in the end a very satisfactory life, and, above all, it is a life which ultimately unfits those who follow it for serious work in the world.
In the last analysis a healthy state can exist only when the men and women who make it up lead clean, vigorous, healthy lives; when the children are so trained that they shall endeavor, not to shirk difficulties, but to overcome them; not to seek ease, but to know how to wrest triumph from toil and risk. The man must be glad to do a man's work, to dare and endure and to labor; to keep himself, and to keep those dependent upon them. The woman must be the house-wife, the helpmeet of the hornernaker, the wise and fearless mother of many healthy children.
As it is with the individual, so it is with the nation. It is a base untruth to say that happy is the nation that has no history. Thrice happy is the nation that has a glorious history. Far better it is to dare mighty things, to win gloríous triumphs, even though checkered by failure, than to take rank with those poor spirits who neither enjoy much nor suffer much, because they live in the gray twilight that knows not victory nor defeat.
If in 1861 the men who loved the Union had believed that peace was the end of all things, and had acted up to their belief, we would have saved hundreds of thousands of lives, we would have saved millions of dollars. Moreover, besides saving all the blood and treasure we then lavished, we would have prevented the heartbreak of many women, the dissolution of many homes, and we would have spared the country those months of gloom and shame when it seemed as if our armies marched only to defeat.
We could have avoided all this suffering simply by shrinking from strife. And if we had thus avoided it, we would have shown that we were weaklings, and that we were unfit to stand arnong the great nations of the earth. Thank God for the iron in the blood of our fathers, the men who upheld the wisdorn of Lincoln, and bore sword or rifle in the armies of Grant!
Let us, the children of the men who proved themselves equal to the mighty days, let us, the children of the men who carried the great Civil War to a triumphant conclusion, praise the God of our fathers that the ignoble counsels of peace were rejected; that suffering and loss, the blackness of sorrow and despair, were unflinchingly faced, and the years of strife endured; for in the end the slave was freed, the Union restored, and the mighty American republic placed once more as a helmeted queen among nations.
We of this generation do not have to face a task such as that our fathers faced, but we have our tasks, and woe to us if we fail to perform them ! We cannot, if we would, play the part of China, and be content to rot by inches in ignoble ease within our borders, taking no interest in what goes on beyond them, sunk in a scrambling commercialism;
heedless of the higher life, the life of aspiration, of toil and risk, busying ourselves only with the wants of our bodies for the day, until suddenly we should find, beyond a shadow of question, what China has already found, that in this world the nation that has trained itself to a career of unwarlike and isolated case is bound, in the end, to go down before other nations which have not lost the manly and adventurous qualities.
If we are to be a really great people, we must strive in good faith to play, a great part in the world. We cannot avoid meeting great issues. All that we can determine for ourselves is in whether we shall meet them well or ill. in 1898 we could not he1p being brought face to face with the problem of war with Spain.
All we could decide was whether we should sink like cowards from the contest, or enter into it as beseemed a brave and high spirited people; and, once in, whether failure or success should crown our banners. So it is now. We cannot avoid the responsibilities that confront us in Hawaii, Cuba, Puerto Rico, and the Philippines.
All we can decide is whether we shall meet them in a way that will redound to the national credit, or whether we shall make of our dealings with these new problems a dark and shameful page in our history. To refuse to deal with them at all merely amounts to dealing with them badly. We have a given problem to solve. lf we undertake the solution, there is, of course, always danger that we cannot possibly solve it aright; but to refuse to undertake the solution simply renders it certain that we cannot possibly solve it aright.
The timid man, the lazy man, the man who distrusts his country, the overcivilized man, who has lost the great fighting, masterful virtues, the ignorant man, and the man of dull mind, whose soul is incapable of feeling the mighty lift that thrills "stern men with empires in their brains" all these, of course, shrink from seeing the nation undertake its new duties;
shrink from seeing us build a navy and an army adequate to our needs; shrink from seeing us do our share of world's work, by bringing order out of chaos in the great, fair tropic islands from which the valor of our soldiers and sailors has driven the Spanish flag.
These are the men who fear the strenuous life, who fear the only national life which is really worth leading. They believe in that cloistered life which saps the hardy virtues in a nation, as ¡t saps them in the individual; or else they are wedded to that base spirit of gain and greed which recognizes the commercialism the be all and endall of national life, instead of realizing that, though an indispensable element, it is, after all, but one of the many elements that go to make up true national greatness.
No country can long endure if its foundations are not laid deep in the material prosperity which comes from thrift, from business energy and enterprise, from hard, unsparing effort in the fields of industrial activity; but neither was any nation everyet truly great if it relied upon material prosperity alone. All honor must be paid to the architects of our national prosperity, to the great captains of industry who have built our factories and our railroads, to the strong men who toil for wealth with brain or hand ; for great is the debt of the nation to these and their kind.
But our debt is yet greater to the men whose highest type is to be found in a statesman like Lincoln, a soldier like Grant. They showed by their lives that they recognized the law of work, the law of strife ; they toiled to win a competence, for themselves and those dependent upon them ; but they recognized that there were yet other and even loftier duties duties to the nation and duties to the race.
We cannot sit huddled within our own borders and avow ourselves merely an assemblage of well to do hucksters who care nothing for what happens beyond. Such a policy would defeat even its own end ; for as the nations grow to have everwider andwider interests, and are brought into closer and closer contact, if we are to hold our own struggle for naval and commercial supremacy, we must build up our power without our own borders.
We must build the isthmian canal, and we must grasp the points of vantage which will enable us to have our say in deciding the destiny of the oceans of the East and the West.
I preach to you, then, my countrymen, that our country calls not for the life of ease but for the life of strenuous endeavour. The twentieth century looms before us big with the fate of many nations. If we stand idly by, if we seek merely swollen, slothful ease and ignoble peace, if we shrink from the hard contests where men must win at hazard of their lives and at the risk of all they hold dear, then the bolder and stronger peoples will pass us by, and will win for themselves the domination of the world. Let us therefore boldly face the life of strife, resolute to do our duty well and manfully, resolute to uphold righteousness by deed and by word; resolute to be both honest and brave, to serve high ideals, yet to use practical methods. Above all, let us shrink from no strife, moral or physical, within or without the nation, provided we are certain that the strife is justified, for it is only through strife, through hard and dangerous endeavour, that we shall ultimately win the goal of true national greatness.
pagina pubblicata il 16/10/08